L’istinto a scattare foto svela la nostra profonda natura psico-motoria
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PARMA
di Vittorio Gallese da LaStampa.it
Forse mai come oggi l’umanità si è trovata a vivere in un mondo così pieno di immagini. Quando visitiamo un museo o un’esposizione artistica, molti di noi non resistono alla tentazione di impossessarsi le immagini che ci stanno di fronte, facendole proprie attraverso la duplicazione resa possibile dall’ormai inseparabile fotocamera-telefonino. La caleidoscopica messe di filmati, video, foto, cartelloni e manifesti in cui siamo immersi rende più che mai attuali gli interrogativi da cui partono Andrea Pinotti e Antonio Somaini nell’Introduzione all’interessante volume «Teorie dell’immagine» (Cortina 2009) da loro curato. Che cos’è un’immagine? Cosa facciamo quando usiamo le immagini? In quale misura le immagini «artistiche» differiscono dalle immagini tout-court?
Le scienze umane e le neuroscienze sono oggi impegnate a rispondere a questi quesiti, impegnandonsi in un dialogo che, anche se difficile, è in grado di fare nuova luce su questo aspetto così importante della natura umana. Il rapporto tra arte e scienza, quando applicato allo studio delle immagini, si può configurare come ricerca dei meccanismi che presiedono alla loro comprensione.
La scoperta dei neuroni specchio e dei meccanismi di rispecchiamento nel cervello umano e, più in generale, la scoperta del cruciale ruolo attivo svolto dal sistema motorio nella percezione delle immagini hanno inferto un duro colpo alle concezioni rappresentazionaliste – e totalitaristiche – della mente umana, tipiche del cognitivismo classico. Guardare un’immagine non si risolve esclusivamente nella registrazione delle sue proprietà sensoriali, successivamente tradotte in rappresentazioni in formato linguistico. Oggi sappiamo che la potenza espressiva delle immagini risiede anche – se non soprattutto – nella capacità che queste hanno di risvegliare implicitamente e direttamente un’eco, una risonanza nel corpo di chi le guarda.
Questa risonanza assume un aspetto insieme motorio, emozionale e sensoriale. Guardare la raffigurazione di un oggetto implica simulare l’azione che quell’oggetto evoca, così come osservare un gesto, un’emozione o una sensazione – o una loro raffigurazione – determina l’attivazione di parte dei meccanismi che normalmente presiedono all’esecuzione o all’esperienza soggettiva degli stessi gesti, emozioni o sensazioni. Secondo questa prospettiva, in ogni esperienza estetica c’è sempre una componente empatica, che, anche se modulata da fattori storico-culturali, mantiene una dimensione universale. Si configura così un rapporto di reciprocità tra immagine e fruitore, secondo cui non solo ci rispecchiamo nelle immagini, ma ne siamo anche rispecchiati.
Questi recenti risultati della ricerca neuroscientifica mostrano una straordinaria affinità con aspetti cruciali della riflessione estetica manifestatisi tra il XIX ed il XX secolo. Sebbene già dal Settecento scrittori come DuBos (e altri, tra cui Hume, Burke, Adam Smith e Herder) abbiano parlato del ruolo dell’imitazione interiore delle emozioni e delle azioni altrui, l’importanza cruciale dell’empatia per l’estetica è stata sottolineata per la prima volta da Robert Vischer nel 1873. Con il termine Einfühlung («sentire dentro») designava le reazioni fisiche prodotte dall’osservazione dei dipinti, notando come forme particolari suscitassero particolari reazioni emotive, a seconda della conformità al disegno e alla funzione dei muscoli.
Aby Warburg scrisse delle Pathosformeln, per mezzo delle quali le forme esteriori del movimento in un’opera rivelavano le emozioni interiori del personaggio interessato. Quasi nello stesso periodo, Bernard Berenson suggeriva che l’osservazione del movimento rappresentato nelle opere d’arte rinascimentali potenziasse la consapevolezza di analoghe potenzialità muscolari nel proprio corpo. Inoltre, il suo concetto di «valori tattili» delle immagini prefigurava riflessioni contemporanee, come quelle del pittore Mark Rothko. Si può ipotizzare che anche nella contemporanea arte astratta le tracce visibili del gesto della mano dell’artista si traducano in una simulazione motoria nel cervello di chi guarda. Nel nostro laboratorio stiamo conducendo esperimenti per indagare questo aspetto dell’esperienza estetica.
Arte e scienza condividono un aspetto fondamentale: entrambe sono impegnate a rendere visibile ciò che è invisibile. Dalla collaborazione tra arte scienza, in Italia meritoriamente sollecitata e sostenuta, tra gli altri, dalla Fondazione Golinelli, può nascere non solo un nuovo affascinante capitolo della ricerca su che cosa significhi essere umani, ma anche uno stimolo a nuove forme di espressione artistica. In fondo, arte e scienza non sono che diverse declinazioni di quella straordinaria creatività che ci rende umani.
Chi è Vittorio Gallese Neurologo
RUOLO: E’ PROFESSORE DI FISIOLOGIA UMANA ALL’UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PARMA
IL SITO: HTTP://WWW.UNIPR.IT/ARPA/MIRROR/ENGLISH/STAFF/GALLESE.HTM
RICERCHE: PERCEZIONI COGNITIVE